“Né con la Russia, né con la Nato” e “Niente armi all’Ucraina”: due slogan sbagliati e controproducenti

editoriale di Crisi Globale

Version française sur le site d’Arguments pour la lutte sociale

Nel pronunciarsi sulla guerra in corso la sinistra italiana, e la maggior parte di quella internazionale, si è limitata essenzialmente a questi due slogan. Se il secondo nega agli ucraini sotto le bombe la solidarietà più urgente, il primo è basato su argomentazioni reticenti o prive di sostanza, come viene esposto in questo articolo. Con tali due posizioni, tra le altre cose, la sinistra mina le basi di una possibile lotta solidale efficace contro la stessa Nato e il capitalismo occidentale più in generale.

A due settimane dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia la sinistra italiana ha maturato due posizioni che nel loro complesso dominano per intero le analisi, le dichiarazioni e gli slogan (il termine generico “sinistra” esclude qui il Pd e i suoi satelliti, nonché gli stalinisti o parastalinisti; include invece gli anarchici). Queste due posizioni sono, in essenza, “No alla fornitura di armi all’Ucraina”, “Nè con la Russia, né con la Nato”. Entrambe le posizioni sono profondamente errate e comportano effetti deleteri sia per i gruppi che le sostengono, sia per i resistenti ucraini. La prima è smontabile con poche semplici constatazioni, la seconda, di natura profondamente ambigua al di là della semplice formulazione, richiede ragionamenti più complessi. A livello internazionale, al contrario che in Italia, ci sono state prese di posizione di natura ben diversa, sebbene nel complesso ampiamente minoritarie. In Ucraina e in Russia tali posizioni sono praticamente inesistenti.

“NO ALLE FORNITURE DI ARMI ALL’UCRAINA”

Nel momento in cui una superpotenza militare e nucleare aggredisce deliberatamente con le armi un paese infinitamente più debole militarmente, assediandone numerosi centri urbani sottoposti a bombardamenti altamente distruttivi, questo slogan appare semplicemente assurdo. A rafforzarne l’assurdità è il fatto che l’eroica opposizione degli ucraini, militari e civili, sta dimostrando di avere un effetto nell’alimentare una resistenza che, nel contesto mondiale delineato brevemente nella nostra conclusione, è una resistenza anche a nostro nome. Questa resistenza non può esistere senza armi di difesa, che i resistenti ucraini stanno man mano perdendo e consumando: sistemi portatili anticarro e antiaereo a breve gittata, munizioni, dispositivi di ricognizione e, in più, aerei in grado di fornire un minimo contrasto nei cieli alla totalmente schiacciante superiorità russa. Chi aderisce alla posizione “nessuna fornitura di armi” non spiega quali sono i risultati concreti che sono in essa impliciti. Quelli possibili sono solo due: una distruzione quasi totale dell’Ucraina e la sua occupazione da parte della Russia, oppure una soluzione diplomatica che arriverà, con l’Ucraina a corto di armi, nel momento in cui alla Russia converrà e con il paese semidistrutto (lo è già ampiamente adesso in regioni vitali), consegnandolo a Putin. Questo tipo di soluzione diplomatica che potrebbe convenire esclusivamente a Mosca, richiederà necessariamente, per essere sancita, un coinvolgimento di parti terze, complicando così ulteriormente la sopravvivenza degli ucraini: stati con i loro interessi, od organizzazioni internazionali controllate da tali stati, che manovrano conflittualmente al loro interno per promuovere detti interessi. Inoltre, questa posizione scava per ovvi motivi un profondo fossato sia con il popolo ucraino massacrato dalle bombe che sta lottando per la propria mera sopravvivenza, sia con chi in Russia lotta con il militarismo e lo sciovinismo di Mosca auspicandone la disfatta. Ciò pone un’ipoteca enorme sulle future lotte solidali per la pace. Infine, tutti questi sviluppi che implicano necessariamente una vittoria totale o prevalente di Putin sono forieri di nuove guerre, visto il suo progetto esplicito di ricreare un impero con la Russia al centro a spese di altri popoli. Per tutti questi motivi concreti, non solo la posizione è sbagliata, ma andrebbe invertita. Se il governo italiano non avesse deciso di farlo, la sinistra avrebbe dovuto mobilitarsi per richiedere l’immediata fornitura di armi, e ha perso l’occasione di farlo subito di propria iniziativa quando il governo Draghi titubava, visti gli importanti legami economici tra il capitalismo italiano e quello russo. L’unico reale scopo che si può vedere in questa posizione è quello di tenere insieme una sinistra italiana debole e ampiamente priva di colllegamenti fattivi con la società. Con uno slogan dal sapore genericamente pacifista, ma in realtà di contenuto contrario, è più facile andare avanti senza mettersi in discussione, astenendosi dal necessario lavoro di confronto con la realtà e garantendo il permanere sulla scena dei vari mini-leaderini e prime donne di una sinistra già plurisconfitta.

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“NÉ CON LA RUSSIA, NÉ CON LA NATO”

Questo slogan programmatico suona a prima vista il massimo della posizione equilibrata, capace di soddisfare un ampio ventaglio di posizioni: e infatti, cosa c’è di meglio per avere l’animo in pace dello stare tranquilli nel mezzo osservando a distanza, tirando avanti oggi nello stesso modo di ieri, con la convinzione di non essere di parte ed evitando discussioni potenzialmente destabilizzanti per lo status quo a sinistra? Tanto più che, chi a sinistra non è contro la Nato? Anche chi sta scrivendo queste righe lo è convintamente! Il perché riteniamo invece che questo slogan sia completamente sbagliato e controproducente lo spieghiamo nei dettagli qui di seguito. La base da cui partiamo è quella delle argomentazioni con le quali tale slogan viene promosso. Sono riassumibili con un solo concetto: “La Russia è stata spinta ad agire dall’allargamento della Nato a Est”. Concetto coniugato in vari modi, visto che c’è chi dice che la reazione della Russia è spropositata e chi no (o chi tace su questo), chi pone l’accento più sugli aspetti geopolitico-militari e chi su quelli politico-sociali ecc. Infine, non pochi condiscono il tutto con l’asserzione che la Nato ha sostenuto o alimentato l’ondata “nazifascista” in Ucraina, minacciando così implicitamente la Russia. Qui di seguito spieghiamo passo per passo perché questa posizione è fondamentalmente errata e costituisce un rifiuto a priori di confrontarsi con precisi fatti, sui quali poi costruire un dibattito realmente utile.

“La Russia ha agito(, pur esagerando,) (anche) perché la Nato/gli Usa la hanno minacciata proiettandosi verso Est”: La prima constatazione dalla quale non si può astrarre è di natura puramente cronologica: la Russia ha agito nel febbraio 2022, avviando la sua operazione dalla primavera 2021 (inizio dello schieramento di truppe ai confini dell’Ucraina) e “teorizzando” la sua imminente azione nel luglio scorso con un lungo articolo programmatico di Putin. Nel dicembre 2021 i suoi intenti aggressivi, con un ulteriore ammasso di truppe ai confini con l’Ucraina, si sono resi ancora più evidenti e in conseguenza di ciò gli Usa hanno lanciato un allarme. Non vi è stata alcuna, ma proprio alcuna, azione Nato/Usa in questo periodo di quasi un anno, o negli anni recenti, tale da costituire una minaccia per la Russia. Anzi, nel giugno del 2021 il summit Biden-Putin si era concluso all’insegna dell’amichevolezza. Addirittura, alla vigilia della guerra, Biden aveva detto a chiare lettere che un intervento limitato di Mosca in Ucraina sarebbe stato tollerato. La domanda logica che bisogna porsi è: perché il Cremlino allora ha agito adesso, e così massicciamente, in assenza di minacce della Nato? Chi sostiene lo slogan “Né con la Russia, né con la Nato” non solo non lo spiega, ma si astiene totalmente dal porsi questa fondamentale domanda. Un punto di domanda enorme senza risposte. Ma qualcuno sorvola e asserisce che in generale la Russia è stata minacciata negli anni precedenti. Facciamo allora un po’ di passi indietro.

L’allargamento a Est della Nato è un processo avviato nel 1997, concretizzatosi nel 1999 con l’adesione di paesi rilevanti come Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria e terminato nella sua sostanza nel 2004 con l’inclusione di Paesi Baltici, Slovacchia, Bulgaria, Romania e Slovenia. Dopo di che sono stati portati a termine solo alcuni processi di adesione secondari tra il 2009 (Albania e Croazia) e 2020 (Macedonia del Nord). In pratica, un processo conclusosi nella sua essenza ben 18 anni fa. Nel 2008 era stata aperta in via teorica la porta a un analogo processo per Georgia e Ucraina, ma la cosa è subito rientrata con la guerra di aggressione della Russia nei confronti della Georgia. L’Ucraina conserva ufficialmente l’intenzione di aderire, per motivi essenzialmente di equilibri politici interni, ma la Nato non ha alcuna intenzione di accontentarla e difatti non ha mai più fatto passi in tale senso. Da allora non vi è stato nessun tipo di minaccia militare o per la sicurezza russa, anche solo indiretta, da parte della Nato o dell’occidente in generale nei confronti della Russia. Putin ha consolidato costantemente in tutta tranquillità il suo regime, a livello interno, militare e di relazioni internazionali. Ha condotto intensamente affari amichevoli e per lui proficui con praticamente tutti i paesi della Nato, tra i quali in prima fila l’Italia (dai colossi statali Eni ed Enel, fino a quelli finanziari Generali e Unicredit, insieme a tutta una nutrita serie di altre aziende) e gli Stati Uniti, dalla Exxon fino a… Donald Trump. Senza questi amichevoli rapporti d’affari pluridecennali con i capitalisti (statali, o legati a doppio filo con lo stato) dei paesi Nato, non sarebbe mai riuscito ad accumulare i mezzi per avviare e sostenere una guerra come quella in corso.

Ma non è tutto. Nel 2014 la Russia si è annessa militarmente la Crimea, dal punto di vista dei rapporti tra le grandi potenze un atto gravissimo e senza precedenti, e poi con un’operazione guidata da suoi uomini e sostenuta da un intervento militare diretto, seppure non sotto le insegne ufficiali, ha staccato dall’Ucraina metà Donbass, ponendolo sotto il proprio controllo. Anche di fronte a questi fatti, la reazione dei paesi Nato è stata in termini reali nulla: sanzioni limitate, del tutto risibili e ininfluenti.

Sull’onda di un’economia sostenuta dal business lucroso con i paesi europei della Nato e della assenza di reazioni all’intervento militare in Ucraina del 2014, la Russia poco dopo è intervenuta in modo devastante in Siria, andando a inserirsi con forza in un’area militarmente e diplomaticamente da decenni di esclusiva “competenza” dei paesi della Nato. Anche in questo caso, nessuna reazione di questi ultimi. Poi nel 2021 ha svolto un ruolo fondamentale nel soffocamento del movimento di massa in Bielorussia, il cui presidente Lukashenko aveva timidamente provato una parziale autonomia d’azione con piccole aperture ai paesi dell’Europa Occidentale. Putin lo ha così riportato interamente sotto il proprio controllo, e grazie a ciò può oggi usare il paese come proprio trampolino militare. Nessuna reazione dei paesi Nato nemmeno in questo caso, così come non vi è stata alcuna reazione in occasione del suo intervento militare per soffocare la rivolta in Kazakistan nel gennaio di quest’anno, riportando il paese sotto il proprio pieno controllo politico e geopolitico. Come se non bastasse, gli ultimissimi sviluppi indicano che i paesi Nato hanno avuto nell’immediata vigilia e nei primi giorni dell’aggressione contro l’Ucraina una reazione timida, ed è lecito ipotizzare che se quella di Putin si fosse profilata con un sufficiente grado di certezza come una “guerra lampo” sarebbero rimasti divisi e privi di risposte incisive come le sanzioni poi varate e la decisione di fornire armi. Ancora adesso, i paesi Nato escludono ogni altra forma di reazione, per esempio la creazione di una “no flight zone”. Ma qui siamo già nel campo del “dopo inizio guerra”.

A tutto questo va aggiunta un’ultima osservazione generale. L’allargamento della Nato a oltre una dozzina di piccoli e perlopiù poveri paesi dell’Europa Orientale, unitamente ad altri fattori, come in particolare il notevole disimpegno internazionale della sua forza trainante, gli Usa, dopo il 2007, ha comportato nell’ultimo ventennio circa un visibile ridimensionamento del suo ruolo a livello mondiale, della sua coesione e della sua efficacia.

In breve: all’esame dei fatti la teoria della “Nato minaccia per la Russia e pertanto corresponsabile di questa guerra” si rivela solida quanto la nebbia di un giorno autunnale. Sarebbe molto più prossimo alla verità dire che nell’ultima decina di anni i paesi Nato hanno steso un tappeto rosso di fronte a Putin, che non a caso al momento da lui ritenuto giusto ha scatenato la sua aggressione.

Combattenti ucraine

“La Nato ha minacciato di fatto la Russia fornendo armi a Kyiv”: Gli Usa hanno fornito all’Ucraina negli ultimi dieci anni una media di 250 milioni di dollari di armamenti all’anno, cifra che comprende anche gli ultimi stanziamenti più ingenti di fronte all’accumulo di truppe russe alle frontiere ucraine in vista dell’aggressione. Ma quando i sostenitori dell’equilibrismo “Né con la Russia, né con la Nato” citano sbrigativamente questa cifra omettono un fatto fondamentale: si è tratto sempre ed esclusivamente di armi atte solo a organizzare una difesa contro un’aggressione, dagli elmetti e i letti da campo, fino alle armi portatili antitank o antiaeree a breve gittata. In realtà, questi armamenti si stanno dimostrando sul campo inadeguati anche solo a respingere un’aggressione.

“La Nato si è proiettata a Est accerchiando la Russia”: Delle tempistiche e modalità dell’allargamento Nato abbiamo scritto nei dettagli sopra. Ma c’è un altro aspetto fondamentale che una sinistra sbrigativa e che fa del proprio quieto vivere una priorità evita di affrontare. Non solo l’allargamento a Est della Nato (che non è accerchiamento, basta guardare attentamente una cartina) è avvenuto in un territorio reso sgombro dall’implosione della Russia dovuto al crollo miserabile di un sistema di stampo stalinista che nessuno voleva più, ma questo allargamento è stato nel complesso bene accetto dalla maggioranza delle popolazioni dei paesi dell’Est europeo, la cui esperienza storica pluridecennale di dominio russo nascosto sotto le vesti sovietiche è stata quella di una pesantissima oppressione a tutti i livelli, sindacale, di diritti democratici, nazionale, culturale e di genere. I carri armati russi sono intervenuti cruentemente contro lavoratori e democratici nel ’53 a Berlino, nel ’56 a Budapest e nel ’68 in Cecoslovacchia, mentre in Polonia hanno evitato nel ’56 e nell’80 l’intervento diretto ricorrendo a loro burattini che hanno soffocato per procura nella repressione due delle maggiori insurrezioni operaie della storia europea post-Seconda guerra mondiale. Negli ultimi vent’anni Putin ha lavorato per ricreare quel modello in versione aggiornata e si è mosso lungo linee simili a quelle passate sovietiche. Le analogie tra i suoi due interventi militari in Ucraina (nel 2014 in funzione principalmente anti-Maidan, oggi per sottomettere al proprio impero un popolo vicino che vuole emanciparsi) e quelli summenzionati dell’epoca sovietica sono evidenti. Così come le sono le analogie tra il suo intervento in Siria e quello in Afghanistan di Brezhnev, pur fatte salve le differenze di contesto storico. Oggi Putin ha fatto un ulteriore micidiale salto di qualità minacciando in una sola settimana l’Ucraina e i paesi a lei più vicini maggiormente esposti, ma anche il mondo intero, di un olocausto nucleare, con parole e fatti espliciti, o con il folle assalto per mano militare di una grande centrale atomica. Insomma, le condizioni di base per un allargamento della Nato le ha create prima di chiunque altro la Russia stessa.

E anche al di là degli aspetti militari e nucleari, nell’Europa Orientale nessuno desidera rischiare di cadere dalla padella Nato/Ue nella brace di un abbraccio russo fatto di oligarchi che per prosperare necessitano di un’economia rozza, incapace di progressi e fatta solo di spietata rapina, spesso anche a mano armata, di un livello di repressioni antisindacali oggi inimagginabili all’Ovest, del soffocamento quasi totale di ogni diritto democratico, condendo come se non bastasse il tutto con le più bieche politiche patriarcali e omofobe. Non prendere in considerazione questi aspetti, vuol dire solo cacciare la testa sotto la sabbia come uno struzzo e condannarsi all’inefficacia. Prenderli in considerazione non vuole affatto dire assecondare la Nato, anzi, vuole dire gettare basi più solide per la creazione di autentiche solidarietà dal basso con i popoli dell’Europa Orientale, tali da essere effettivamente in grado di abbattere blocchi e militarismo. È in realtà il solo modo per combattere a fondo la Nato, per la quale naturalmente non ci può essere alcun posto in un’alternativa rivoluzionaria. Come è possibile instaurare queste solidarietà con uno slogan così ponziopilatesco e avulso dalla realtà in questo momento di tragica guerra, nonché ipocrita perché pronunciato da attivisti che parlano dal comodo dei loro diritti minimi garantiti, lontani dalle bombe? Come interloquire su queste basi con le masse di lavoratrici e lavoratori ucraini migrati all’Ovest e, in questi giorni, con i milioni di profughi dal paese? Non è un caso che nessun gruppo o attivista di rilievo di Ucraina o Russia, nemmeno quelli in passato impegnati nel criticare la Nato, abbia adottato oggi un tale slogan. Ma a una quota maggioritaria degli attivisti di sinistra italiani ormai quello che interessa è solo interloquire con se stessi. Chiudiamo questa parte con le parole semplici ma efficaci di Oksana Dutchak, attivista femminista e socialista ucraina, tratte da un’intervista al sito di sinistra LeftEast:

È possibile costruire un’opposizione contro questa guerra senza cadere nell’alternativa tra NATO e Russia? È possibile costruire un’iniziativa transnazionale delle donne, dei migranti e dei lavoratori che sfugga alle logiche nazionaliste e alla prospettiva geopolitica?

Ho avuto discussioni con persone di sinistra di altri paesi e a volte sono stupita da come hanno paura di dare troppa poca colpa alla NATO, cercando di aggiungere a ogni frase che “La colpa è anche della NATO”. Certo, la NATO può essere biasimata fino a un certo punto nel tempo, ma quando le bombe iniziano a cadere dal cielo solo la Russia può essere incolpata per i bombardamenti. Vista da qui sul terreno la situazione si presenta diversamente perché vediamo come si comporta il governo russo. Non è disposto a rinunciare ai suoi piani. Non si può certo dire “teniamo la Russia e la NATO lontane da qui”, perché è solo la Russia che ha invaso l’Ucraina. Perché non è la NATO che sta bombardando le città, è una cosa del tutto evidente.

Non si può dire: Non prendiamo posizione. Non si può evitare di schierarsi, soprattutto quando si è qui. Non consiglio alle persone della sinistra dei paesi dell’Europa occidentale o orientale di dire che non bisogna schierarsi. Non schierarsi in questo caso significa lavarsene le mani. […]

Alcune persone di sinistra dicono che la via d’uscita è quella di negoziare e concordare la neutralità dell’Ucraina. È difficile per me sostenere questo punto adesso. È una posizione dal sapore un po’ coloniale: negare a un paese perfino la sua sovranità. Spetta al popolo del paese decidere cosa vuole fare e affinché possa decidere, non ci deve essere alcuna guerra. Come ho detto, questa guerra ha imposto delle decisioni a molti ucraini. C’è chi dice che è sempre possibile scegliere. Ma la maggior parte degli ucraini non vede una possibilità di scelta in questo momento.

Noi non neghiamo certo la nostra capacità di scegliere e agire. Sono alcune persone a sinistra – nella sinistra occidentale – che ci negano questa capacità, raccontandoci cosa dovrebbero fare gli ucraini. […]

Combattenti difesa territoriale 1

“Gli Usa hanno alimentato il fascismo ucraino, addestrandone un battaglione” E’ vero che dopo i fatti di Crimea e del Donbass nel 2014 gli Usa hanno addestrato un battaglione ucraino in cui vi era un’ampia presenza di fascisti, e ciò va denunciato a chiare lettere. Ma è ipocrita, e anche grottesco, fermarsi oggi nei discorsi sulla guerra a questa altrimenti giusta denuncia senza completare il discorso. E il completamento è che la Russia ha utilizzato in maniera massiccia e cruenta nazifascisti e razzisti per il suo “golpe” nel Donbass del 2014, ponendoli alla guida delle relative operazioni e poi delle repubbliche-fantoccio (si veda la dettagliata documentazione raccolta in Crisi Globale: L’anima nera della ‘Repubblica di Donetsk’; ‘Repubblica di Donetsk’: sempre piu a destra, verso la Russia). A ciò va aggiunto che Putin stesso è da ben prima di allora un ultrareazionario che ha sempre usato a mano libera manodopera fascista nella stessa Russia, anche per uccidere attivisti di sinistra. Manodopera che, va osservato, in Russia abbonda ancora di più che in Ucraina. Oltretutto Putin è da più di un decennio punto di riferimento, e spesso finanziatore, dell’estrema destra e dei fascisti europei. Ha finanziato il Front National di Marie Le Pen, ha intessuto legami stretti con la Lega, e il suo regime ha intrattenuto rapporti diretti o indiretti con Forza Nuova e Casa Pound. La sproporzione tra questi fatti sul “fronte russo” e quello isolato sul fronte “americano” testimonia la malafede di chi pronuncia queste “constatazioni” a uso strumentale.

“Lo stesso Putin denunciava da tempo che la Nato minacciava la Russia” E’ parzialmente vero. Ma dobbiamo ascoltare acriticamente le parole dell’assassino di turno? Sicuramente Putin ha sempre visto la Nato come un ostacolo alle sue mire imperiali e capitalistiche. Ma non gliene frega nulla della pace, anzi è tra i maggiori guerrafondai dell’epoca che stiamo vivendo. Tra l’altro, Putin nei suoi discorsi ha sempre dato priorità ad altro, e la Nato, o più in generale l’Occidente, svolge in essi perlopiù il ruolo di un abbellimento accessorio. Nel suo lungo articolo del luglio 2021 che ha gettato le “basi teoriche” per la guerra che ha poi scatenato nelle settimane scorse, Putin si è basato essenzialmente sui diritti ancestrali che la Russia ha sull’Ucraina e la Bielorussia, si è dilungato in quest’ottica sul “popolo triuno [sic]” costituito da Grandi Russi (i russi), Piccoli Russi (gli ucraini) e i Bielorussi, propugnando il ritorno a un impero a metà tra quello zarista e quello stalinista. Si è dilungato senza limiti su questi temi, e alla fine ha dedicato ad aspetti come quelli del Granducato di Lituania o della cristianità ortodossa nel XVII secolo molto, ma molto più spazio che a una Nato citata quasi di sfuggita. Lo stesso vale per i suoi burattini nazifascisti nel Donbass, che hanno sempre parlato quasi solo di “Novorossiya”, il progetto sciovinista di annessione di tutta l’Ucraina, adottando non a caso la bandiera dei sudisti razzisti americani. E lo stesso vale per i suoi ultimi discorsi, incentrati su ben altro che la supposta minaccia Nato, citata indirettamente e regolarmente solo all’ultimo posto per chiari scopi propagandistici. D’altronde, se la sua motivazione fosse stata quella di far compiere concreti passi indietro alla Nato, non avrebbe né posto prima della guerra ultimatum che sapeva lui per primo non sarebbero mai stati accettati dalla controparte atlantica, né avrebbe scatenato una guerra di questa portata, che ha avuto come primo effetto quello di fare ritrovare alla Nato e all’occidente più in generale un’unità che era andata scemando da tempo. E’ un esito che non può non avere messo in conto, e se non lo ha fatto è solo uno stupido.

CONCLUSIONE

Buona parte della sinistra che sostiene gli slogan citati sopra si richiama da sempre a Marx. Ma l’approccio che adotta oggi è opposto a quello fondamentale di Marx, che prendeva nettamente parte nel mondo in cui viveva, senza falsi equilibrismi, affrontando di petto ogni sviluppo nella realtà e adottando posizioni spregiudicate nel migliore senso della parola, cioè senza giudizi precostituiti, tenendo sempre al centro delle proprie considerazioni quelli che erano i reali interessi dei lavoratori nel momento dato, e quindi anche le loro prospettive per il futuro. E’ questo atteggiamento che manca oggi, ci si aggrappa a vecchi modelli ripetuti in automatico, si presta più attenzione al “manteniamo i nostri equilibri interni” o al “non arrischiamoci su terreni difficili” che a un lavoro di costruzione di lotte efficaci e di solidarietà fattive. Il mondo che si va profilando richiede invece un atteggiamento di fondo come quello di Marx. Il passaggio a un “modello multipolare”, che inevitabilmente si basa su atti di guerra o di concorrenza spietata di un gran numero di grandi, medie e piccole potenze sempre più disinibite al loro interno o nella proiezione esterna, in un momento in cui il movimento dei lavoratori è debole ovunque, comporta solo evidenti svantaggi per quest’ultimo. Dal 2011 a oggi abbiamo assistito a un’ondata di mobilitazioni per la democrazia senza precedenti nell’era recente per le loro dimensioni e la loro insistenza. Ma sono lotte estremamente fragili, incapaci di organizzarsi adeguatamente o di instaurare le necessarie solidarietà fattive a livello internazionale. Per maturare e diventare più forti hanno bisogno di tempo e di condizioni minime adeguate. C’è in particolare bisogno di tempo affinché una classe lavoratrice massacrata da decenni e indebolita prenda coscienza di sé come soggetto al loro interno. In questo contesto, l’aggrapparsi a sicurezze passate da parte degli attivisti di sinistra che dovrebbero lavorare in tale senso, e invece mirano essenzialmente alla sola autoconservazione (o spesso, presso chi ha ruoli più prominenti di altri, alla pura autocelebrazione), è deleterio, è un regalo all’avversario, ivi compresa la Nato. Quest’ultima, così come gli altri paesi occidentali, può essere combattuta efficacemente non con slogan che sono di fatto un insulto ai nostri fratelli dell’Europa Orientale, ma per esempio richiamando l’attenzione sull’aspetto che per la sua natura di alleanza di stati imperialisti incentrata sugli interessi di questi ultimi non è capace, né lo sarà mai, di difendere effettivamente e fino in fondo alcuna popolazione, come stanno dimostrando i fatti.

Affrontare la realtà chiudendosi a bozzolo in equilibrismi e formule autorassicuranti facendo di ogni erba un fascio non porta da nessuna parte. Mettere per esempio oggi il segno uguale tra le mire di stati capitalisti e ultrareazionari a ogni livello come la Russia che fa strage minacciando l’olocausto nucleare, o se per questo la Cina che è il più grande oppressore di lavoratori, a cui nega in misura che non ha pari nel capitalismo “liberale” diritti sindacali, libertà e ridistribuzione della ricchezza da loro prodotta, con quello che sono oggi i cosiddetti paesi occidentali, vuol dire chiudere gli occhi di fronte alla realtà, avanzare come sonnanmbuli, e precludersi ogni ruolo nelle lotte solidali dei lavoratori e delle masse che aspirano alla democrazia a livello internazionale. Implicitamente, questo vuole dire anche rinunciare in ultimo a una lotta vasta ed energica che prenda di mira fattivamente il capitalismo occidentale.

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